1 Settembre 1939

«Siedo in una delle bettole
della Cinquantaduesima strada
incerto e spaventato vedendo scadere
le astute speranze
di un decennio indegno e disonesto:
Onde di rabbia e di paura
Circolano sulle luminose
e oscurate contrade della terra
ossessionando le nostre vite private:
l’indicibile lezzo della morte
offende questa notte di settembre…
…non c’è una cosa chiamata Stato
e nessuno esiste da solo;
la fame non lascia scelta
al cittadino né alla polizia;
dobbiamo amarci l’un l’altro o morire.»

Questo pezzo del testo del grande poeta inglese W. H. Auden (1907-1973) compare nella raccolta “An other time”, è un testo particolarmente significativo per la sua estrema attualità, infatti, i riferimenti che Auden fa, in un periodo gravido di avvenimenti terribili, che a loro volta avrebbero portato grossi cambiamenti sociali, possono a mio parere essere rapportati ai momenti attuali, e questo perché la letteratura e la poesia dicono molto di più all’uomo e sull’uomo di quanto possano mai dire cronache giornalistiche o nozioni storiche. Questa poesia,infatti, parla dell’ansia esistenziale, scatenata dagli eventi che segnarono l’Europa degli anni Trenta. Auden scrisse una lirica amarissima nel ricordo del 1° settembre 1939, giorno in cui, a New York, sentì alla radio, l’annuncio dello scoppio della seconda guerra mondiale. L’ansia scatenata dall’annuncio dello scoppio della seconda guerra mondiale, a cui fa riferimento in più versi, mette in dubbio l’esistenza umana, le certezze, gli affetti, genera paura, angoscia, orrore e sembra che l’unico antidoto a tutto questo sia l’amore. L’ansia è proprio questo, una condizione di disagio psicologico, ed è una condizione ambientale che si riferisce ad una indistinta e pressante, sensazione di allarme. C’è dentro preoccupazione, paura, tensione fisiologica del corpo che, in vista di un potenziale pericolo, si prepara ad attivare la reazione di attacco o fuga.

Joseph LeDoux, neuroscienziato, universalmente riconosciuto come il massimo esperto dei meccanismi neurali alla base di ansia e paura, nel suo libro (2016), legge tali sentimenti come esperienze consce, tipicamente umane, costruite cognitivamente sulla base di processi inconsci che la nostra specie condivide con molte altre.

Lo psicologo, per essere davvero efficace, afferma LeDoux, deve saper agire sia sulle esperienze consce, sia sui processi inconsci dei pazienti: questo perché il cervello è plastico e può imparare a governare ansie e paure.

Viviamo nel tempo dell’incertezza, dell’insicurezza le cui cause possiamo trovarle nel fragile quadro finanziario, nella precarietà del lavoro, nelle minacce alla sicurezza legate al terrorismo, nei virus che destabilizzano completamente le nostre vite e i nostri progetti, nella sofferenza dell’ambiente, nei cambiamenti politici e culturali. Di fronte a tutti questi avvenimenti non sempre gli individui si trovano socialmente e psicologicamente preparati, perché tutti questi aspetti contribuiscono a creare una cultura diffusa di ansia e di ritiro che investe le comunità a livello internazionale e che necessitano di professionisti diversi, sempre più preparati ad affrontare questa complessità, con cassette degli attrezzi ricche di strumenti per la relazione di aiuto. Strumenti quali l’empatia, la comunicazione, la sicurezza, l’impegno, la fiducia e il sostegno.

Inoltre i mezzi digitali e i social media permettono di far arrivare le informazioni rapidamente acuendo la percezione delle minacce esterne, accentuando il senso di inadeguatezza, imponendo standard sociali poco realistici di bellezza, popolarità, ricchezza e benessere. Non ci dimentichiamo che il consumo di psicofarmaci, utilizzati per combattere ansia e attacchi di panico, è in crescita costante in Italia, con un’accentuazione particolare relativa proprio al consumo di ansiolitici. Il termine ansia deriva dal latino “anxius”, ovvero stringere, soffocare, per cui già etimologicamente richiama concetti connotati da varie sensazioni, per lo più spiacevoli, fra cui il timore, la paura, l’apprensione, la preoccupazione, la sensazione che le cose possano sfuggire di mano, il bisogno di trovare una soluzione immediata. Questa è l’ansia nella sua concezione patologica, ma esiste anche un’ansia fisiologica, per così dire “normale”, un’emozione naturale e universale.

L’ansia è un meccanismo fisiologico in risposta ad uno stress, Le Doux dice appunto che l’ansia è un’esperienza conscia tipicamente umana, costruita cognitivamente sulla base di processi inconsci. Ci consente di sopravvivere poiché ci permette di capire quando siamo di fronte ad una minaccia e ci prepara ad affrontarla al meglio.

Possiamo difatti parlare di ansia positiva che permette di attivare efficacemente il problem solving e di ansia negativa che invece genera sofferenza. Di fronte ad un evento scatenante, l’individuo percepisce una sensazione di pericolo che gli genera ansia, a livello biologico si assiste ad un aumento di sangue al cervello e al sistema muscolare, nel caso di ansia positiva, l’individuo percepisce forza fisica e psichica che gli è utile per reagire al pericolo con risposte attivanti la risoluzione del problema. Se invece il cervello inizia a formulare ipotesi negative non utili all’azione, ma bloccanti, l’ansia aumenta a dismisura e genera sofferenza. Una vignetta trovata in rete dice: “finché c’è vita c’è ansia !!!”, nulla di più vero. Possiamo infatti parlare di ansia nel ciclo di vita e verificare che in alcune fasi dello sviluppo vi è una accentuazione fisiologica dell’ansia.

Per esempio, già intorno agli 8 mesi di vita possiamo parlare di una forma primaria di paura che è la perdita del contatto fisico con la mamma. Il bambino sperimenta la paura della separazione. Ha reazioni di spavento e di protesta che manifesta quando le sue principali figure di accudimento, specie la madre, si allontanano da lui. Può esprimersi con crisi di pianto disperato, che si calma solo quando il piccolo viene rassicurato dalla presenza di chi normalmente si occupa di lui. Il piccolo non ha ancora una matura comprensione e consapevolezza delle dimensioni spazio temporali, per cui se la mamma non è fisicamente presente per lui è come se fosse sparita per sempre e pensa che non tornerà più e questo provoca nel bambino un’ansia profonda. L’ansia da separazione è una fase normale e transitoria dello sviluppo del bambino che può, in alcuni casi, aggravarsi e protrarsi in età adulta, fino a sfociare nel disturbo d’ansia da separazione. Segue un’altra paura quella degli estranei e la paura del buio. Poi intorno ai 3/5 anni arriva la paura del temporale, dei mostri, delle streghe, di Babbo Natale e della Befana, elementi che affascinano ed al tempo stesso spaventano; paura dei pericoli fisici, di ferirsi, ammalarsi, la paura della morte. In età prescolare la paura maggiore è quella del distacco dal genitore e dell’abbandono legata all’inizio della vita scolastica in comunità. Altra paura tipica di questa età è quella dei personaggi di fiabe e racconti come l’uomo nero o il lupo cattivo.

Intorno ai 6 anni emerge l’ansia prestazionale dovuta all’avvio del percorso scolastico, della valutazione, del confronto con gli altri. Nella preadolescenza e adolescenza, l’ansia è relativa alle relazioni sociali, al diventar grandi, al far parte di gruppi.

In queste fasi del ciclo di vita, la funzione genitoriale dell’adulto è fondamentale ed è quella di regolare gli stati emotivi, insegnare attraverso l’esempio, aiutare il bambino, il ragazzo a rielaborare i propri vissuti attraverso il contenimento del genitore. Pertanto è necessario che l’adulto sia consapevole di sé, delle proprie paure e sappia prendersene cura, perché un adulto spaventato è un adulto spaventante. Purtroppo negli ultimi anni il numero di bambini e ragazzini che manifesta specifici disturbi d’ansia ha raggiunto un livello tale da costituire un vero e proprio allarme sociale.

È importante sottolineare che non è facile, nei bambini, discriminare tra una paura normale ed un’ansia patologica: quella normale è prevedibile in certi momenti dello sviluppo come nella separazione dai genitori, o quando i bambini rimangono soli al buio o durante un temporale. Dove si situa quindi il limite tra ansia normale e ansia patologica? Quando diventa un disagio clinico? La risposta si trova nell’osservazione del comportamento del piccolo: se l’ansia interferisce con le consuete attività giornaliere, le rende più complesse e sofferenti, durante la scuola, a casa o in compagnia di altri coetanei. Inoltre, dato assai significativo, il disturbo d’ansia nel bambino piccolo è spesso manifestato con sintomi fisici, quali cefalea, vomito e dolori addominali.

A partire dalla preadolescenza invece le crisi assumono atteggiamenti di continua richiesta, manifestazioni di collera e alterazioni comportamentali. Assistiamo anche al verificarsi nei ragazzi di un’ansia generalizzata, fobie specifiche e disturbi ossessivo compulsivi. Le conseguenze dell’ansia in primo luogo riguardano l’evitamento, cioè la tendenza a fuggire dalle situazioni, che permette di ridurre rapidamente l’ansia. Tuttavia, nel lungo periodo, questa strategia diventa controproducente perché, ogni volta che si mette in atto, allontanandoci dalla situazione che ci genera ansia, la paura di affrontarla aumenta, entrando, così, in un loop di procrastinazione. Inoltre l’evitamento agisce negativamente sull’autostima e può estendersi anche a situazioni che inizialmente non scatenavano ansia per l’effetto della generalizzazione, portando l’individuo a evitare sempre di più le diverse situazioni e, quindi, a limitare sempre di più la propria vita.

Negli adulti l’ansia può generare problematiche di coppia, che possiamo ritrovare nell’ansia da separazione, nella gelosia, nel controllo, nei fenomeni di dipendenza affettiva. Mi scrive una coppia: “ L’amore con le sue dolci seduzioni e le sue efferate gelosie, insieme alle sue false verità e alle sue vendette, ci cammina a fianco fin da bambini e grazie a lui nasciamo, cresciamo, ci nutriamo e talvolta ci avveleniamo, ci sono amori che nutrono e altri che depauperano. Amori che accudiscono e altri che destabilizzano. Amori che danno e altri che tolgono. Gli amori malsani, dolorosi e tossici per la psiche, si creano grazie all’incontro alchemico di due fragilità di due partners affamati d’amore .” Questa poesia “di riflessione” è un regalo che mi ha lasciato una coppia alla fine del suo percorso di consulenza e che riassume il percorso che hanno fatto e la consapevolezza che hanno acquisito.

Stare in coppia e stare bene dipende dalla propria capacità di amare, dal lasciarsi amare a nostra volta e dall’essere stati amati sufficientemente dalle nostre figure genitoriali. E’ la storia di Luca e Maria, i cui nomi sono fittizi per ragioni di privacy, che venendo in consulenza entrambi sono convinti di amare molto, ma di non ricevere indietro lo stesso amore

Sono convinti che l’altro deve intuirne i desideri, che non ci sia bisogno di chiedere, si accusano che: “nell’amore di coppia, quello vero” l’amore è guardare l’altro negli occhi e capire al volo, senza parole, cosa l’altro desidera”. Purtroppo le cose non stanno così, entrambi si accusano, hanno paura di perdersi, si controllano, si odiano. Entrambi hanno avuto genitori che hanno anticipato i loro desideri e adesso loro cercano nell’altro lo stesso anticipare, perdendo di vista completamente la ricerca perenne di equilibrio necessario per la relazione di coppia. Quindi genitori che amano, che accudiscono, che nutrono l’anima dei propri figli saranno in grado di donare ai figli scorte di benessere di autostima e di fiducia in sé, basta ricordare la meravigliosa storia dei caldomorbidi di Claude Steiner, e quando diventeranno grandi potranno utilizzarli per vivere serenamente la coppia. Quei bambini così amati saranno adulti sereni in grado di amare e lasciarsi amare, come diceva Auden nella sua poesia, senza scheletri nel cassetto della memoria, né fantasmi che inquinano l’anima.

Per quanto riguarda l’età avanzata, sappiamo che i normali meccanismi di reazione vengono alterati e gli anziani tendono ad aver paura, ha provare ansia, anche in contesti considerati sicuri dalle persone di altre fasce di età. Alcune ricerche dell’Università di Bologna hanno infatti chiarito alcuni meccanismi cruciali che legano l’invecchiamento alla percezione della paura. Dalla ricerca è emerso che l’invecchiamento può avere un impatto negativo sulla capacità di utilizzare le informazioni contestuali per modulare in modo flessibile il recupero dei ricordi emotivi. Questo probabilmente avviene per via dei cambiamenti che avvengono con l’età in alcune aree del cervello come l’ippocampo e le cortecce prefrontali, che sono particolarmente soggette agli effetti dell’invecchiamento.

Concludo dicendo che intraprendere azioni che migliorino le condizioni di vita quotidiane, che sensibilizzino alla relazione, ad una sana attivazione del problem solving, da prima della nascita, durante la prima infanzia, in età scolare, durante la fase di costituzione del nucleo familiare, nel periodo lavorativo e infine nella vecchiaia, permette sia di migliorare la salute mentale della popolazione, sia di ridurre il rischio d’insorgenza dei disturbi mentali. Inoltre assumere la prospettiva del ciclo di vita significa riconoscere da una parte che la salute mentale è influenzata sia da fattori unici e specifici per ogni fase di vita, che da fattori trasversali alle differenti fasi e dall’altra che la salute mentale è soggetta a processi di accumulo e stratificazione lungo l’intero arco di vita.